L'AI Act europeo va riscritto

L’Europa sta commettendo un errore strategico di portata storica. Mentre Stati Uniti e Cina investono centinaia di miliardi nell’intelligenza artificiale e trasformano radicalmente le loro economie, noi ci stiamo ingessando in una ragnatela burocratica che rischia di condannarci all’irrilevanza tecnologica.
Il paradosso europeo: Etica senza innovazione
L’AI Act, entrato in vigore quest’anno, rappresenta il culmine di un approccio regolatorio che privilegia sistematicamente i rischi rispetto ai benefici. È la stessa logica che ha ispirato il GDPR e il Green Deal: l’Europa come “fabbrica di standard etici” piuttosto che di tecnologie competitive.
Il risultato? Nel 2024, gli Stati Uniti hanno sviluppato 40 grandi modelli di intelligenza artificiale. L’Europa ne ha prodotti tre. Non è un caso, è la conseguenza diretta di scelte politiche precise.
L’errore del GDPR non ci ha insegnato nulla
Dovremmo aver già imparato la lezione. Il GDPR, pur con nobili intenzioni di tutela dei dati personali, ha comportato:
- Una riduzione dei profitti del 12% per le aziende europee
- Un aumento del 20% dei costi di gestione dei dati
- Il 70% del mercato cloud europeo finito nelle mani dei giganti americani
L’aumento dei costi di trattazione e archiviazione dei dati ha reso meno competitive le aziende europee proprio nel momento in cui avrebbero dovuto investire massicciamente in infrastrutture digitali, lasciando campo libero ai colossi americani che operano con standard diversi e costi inferiori.
L’AI Act: Stessa storia, conseguenze peggiori
L’AI Act replica gli stessi errori, ma in un contesto ancora più critico. La normativa impone:
- Cinque categorie di rischio con oneri crescenti
- Controlli ex ante su qualsiasi impresa voglia sperimentare l’AI
- Requisiti di conformità onerosi che colpiscono soprattutto PMI e startup
- Supervisione umana continua per sistemi automatizzati
- Documentazione e certificazioni che richiedono tempo e risorse ingenti
Il problema non sono i grandi produttori di LLM americani, che restano del tutto indenni. Il problema sono le migliaia di piccole e medie imprese europee che vorrebbero sperimentare e adottare questi strumenti ma si trovano di fronte barriere insormontabili. L’AI Act non scalfisce minimamente il vantaggio americano, anzi lo consolida impedendo alle imprese europee di utilizzare efficacemente le tecnologie disponibili.
Il ritardo italiano: un caso di studio preoccupante
L’Italia rappresenta un caso emblematico. Siamo quartultimi nell’UE per digitalizzazione, eppure abbiamo una manifattura potenzialmente competitiva composta per il 95% da micro e piccole imprese.
I dati sono impietosi:
- Nelle microimprese: utilizzo dell’AI praticamente nullo
- Nelle piccole imprese: solo il 5% ha avviato progetti AI
- Nelle grandi imprese: sperimentazioni limitate a perimetri ristretti
E questo mentre abbiamo perso oltre il 6% di produzione industriale negli ultimi due anni e mezzo. L’intelligenza artificiale potrebbe essere la chiave per recuperare produttività e competitività, ma ce la stiamo precludendo da soli.
Cosa fanno gli altri mentre noi regolamentiamo
Gli Stati Uniti hanno adottato un approccio completamente diverso. L’Executive Order federale sull’AI del luglio 2024 include:
- Semplificazioni massive per accelerare il trasferimento tecnologico
- Facilitazioni per il permitting ambientale delle infrastrutture AI
- Investimenti federali di 120 miliardi di dollari
- Supporto alla sperimentazione nel settore pubblico e privato
Le Big Tech americane hanno annunciato investimenti per 700 miliardi di dollari in AI negli ultimi 20 mesi. Alphabet, Amazon, Meta e Microsoft investiranno 1.300 miliardi in data center nei prossimi tre anni.
Gli Stati Uniti hanno 5.400 data center, l’Italia 168. La crescita americana è stata del 46% negli ultimi tre anni. Noi siamo sostanzialmente fermi.
La proposta: da ex ante a ex post
È necessario invertire radicalmente l’approccio dell’AI Act, passando da una logica “tutto vietato salvo permesso” a una logica “tutto permesso salvo abuso conclamato”. Questo modello non è un’utopia: è esattamente come funziona già oggi la legislazione antitrust europea. Le imprese sono libere di operare, ma se violano le regole della concorrenza intervengono controlli rigorosi e sanzioni severissime. Nessuno chiede alle aziende di dimostrare preventivamente che non violeranno le norme antitrust. Si agisce dopo, quando emerge un comportamento anti-competitivo concreto.
Principi della riforma necessaria:
1. Regolamentazione ex post invece che ex ante Non si può regolamentare una tecnologia in fase di sviluppo rapido con controlli preventivi. Serve un sistema di sorveglianza che intervenga quando emergono rischi concreti, non teorici.
2. Inversione dell’onere della prova Non deve essere l’impresa a dimostrare di non essere rischiosa, ma l’autorità a dimostrare che esiste un rischio concreto e misurabile.
3. Proporzionalità degli interventi Una startup non può essere sottoposta agli stessi obblighi di una multinazionale. Il tempo è la risorsa più preziosa per l’innovazione, più ancora del capitale.
4. Limiti chiari alle categorie ad alto rischio Settori come l’educazione non possono essere considerati automaticamente ad alto rischio, costringendo chi innova a 14 adempimenti regolatori prima di scrivere una riga di codice.
5. Sanzioni severe ma solo ex post Esattamente come nella legislazione antitrust: libertà di agire, controlli rigorosi, sanzioni durissime in caso di abusi accertati.
Il costo dell’inerzia
Secondo stime autorevoli, l’AI Act nella sua forma attuale costerà all’Europa circa 1.200 miliardi di euro in perdita di produttività e crescita. È l’equivalente dell’intero budget della difesa europea per i prossimi cinque anni.
Non è solo una questione economica. È una questione di sovranità tecnologica. Mentre regolamentiamo, gli altri innovano. Mentre costruiamo barriere burocratiche, loro costruiscono il futuro.
L’intelligenza artificiale non distrugge lavoro, lo trasforma
Uno degli argomenti più utilizzati contro l’AI è la paura della disoccupazione. Ma la storia economica dimostra che ogni rivoluzione tecnologica crea più posti di lavoro di quanti ne distrugga, a patto di investire in formazione e riconversione professionale.
L’AI non sostituisce le persone: sostituisce compiti ripetitivi e a basso valore aggiunto, liberando risorse umane per attività più produttive e creative. Chi usa l’AI sostituisce chi non la usa. È questa la vera minaccia occupazionale.
Gli studi mostrano che l’impatto è asimmetrico: i lavoratori senior, con esperienza e competenze relazionali, non sono penalizzati. Sono i giovani con competenze puramente procedurali a rischiare di più. Proprio per questo serve accelerare l’adozione dell’AI, non frenarla.
Un problema culturale prima che normativo
Sondaggi nelle scuole italiane rivelano un dato allarmante: oltre il 42% tra docenti e studenti vede l’AI come una minaccia alla capacità critica individuale. Questa narrazione distorta, alimentata da un approccio iper-cautelativo, sta creando una generazione di giovani spaventati dalla tecnologia che dovrebbe essere il loro strumento di emancipazione.
Se i docenti che devono formare le nuove generazioni considerano l’AI un “mostro incontrollabile”, come possiamo aspettarci di avere i data scientist, gli esperti di machine learning, gli ingegneri AI di cui avremo disperatamente bisogno?
Cosa fare concretamente
La riforma dell’AI Act deve essere una priorità politica immediata. Serve:
- Un movimento culturale che cambi la narrazione sull’AI da minaccia a opportunità
- Una pressione politica coordinata a livello europeo per riscrivere la normativa
- Sandbox regolamentari dove startup e PMI possano sperimentare senza il peso della burocrazia
- Investimenti massicci in infrastrutture: data center, energia, connettività
- Formazione capillare nelle scuole e nelle imprese
O cambiamo o scompariamo
Non si tratta di negare i rischi dell’intelligenza artificiale o di chiedere un “liberismo selvaggio”. Si tratta di riconoscere che l’Europa, con il suo alto debito pubblico e la sua economia stagnante, non può permettersi di perdere la rivoluzione dell’AI.
La crescita economica non è un lusso, è una necessità. Senza crescita, gli interessi sul debito divorano le risorse per sanità, scuola, welfare. E l’intelligenza artificiale è il principale motore di crescita del XXI secolo.
L’AI Act va riscritto. Non domani. Adesso. Prima che sia troppo tardi.