Stavo sbagliando tutto: starmene fermo tutto quel tempo, zitto, immobile. Bisogna muoversi veloci, sempre più veloci: dribbling stretti, passaggi rapidi, tutto di prima. Bisogna spiazzarli. (Ciro Ascione - Sud)

Mancano pochi giorni al referendum del 2025, che si terrà l'8 e il 9 giugno. Saremo chiamati a votare per cinque quesiti e, complice la scarsa copertura mediatica, ritengo che pochi abbiano compreso appieno le motivazioni, siano esse del sì o del no. In questo articolo cercherò di fare un po’ di chiarezza, e condividerò lo studio che ho fatto per prepararmi al voto.

Motivazioni e ragioni

Sarò volutamente breve e semplificativo nell’inidicare, a mio modesto parere, quali sono i motivi ufficiali del sì e del no. Non mi dilungherò troppo perché, davvero, non ne vale la pena. Inoltre, mi occupero’ esclusivamente dei primi quattro quesiti riguardanti il mondo del lavoro.

Regolamento dei conti a sinistra

I detrattori del sì vogliono cancellare gli ultimi brandelli del Jobs Act. Il decisivo cambio di rotta che strizza l’occhio ai 5 stelle e alla sinistra radicale, necessita di un voto di fiducia per chiudere definitivamente col passato e dare una direzione ancora più netta all’interno del partito. Questa sarebbe l’occasione per mettere a tacere quella minoranza interna che ha espresso una differente linea sul referendum e spianare la strada a Landini come prossimo ministro del lavoro.

Allo stesso tempo, l’ipotesi più probabile è che si voglia portare a votare più 12.300.000 persone. Da dove spunta fuori questo numero? Tale e’ il numero di persone che hanno votato per la coalizione di centro-destra alle ultime elezioni politiche. Superare il 26% di affluenza al voto sarebbe un successo per alcuni, e anche motivo per delegittimare il governo Meloni. Avendo però perso il referendum, qualcuno tornerà a parlare dell’articolo 75 della Costituzione, mettendo in dubbio la regola del quorum.

Il vuoto assoluto a destra

Il centro-destra nel dubbio, e nella direzione più probabile di far fallire il referendum, detta la linea di non votare. Posizione legittima e usata in passato da entrambi gli schieramenti, ma che in questo caso conta come un no, o meglio, un sì per il Jobs Act. Eppure in passato, chi più chi meno, hanno sempre contrastato tale riforma sia nella sua espressione originale che nei suoi successivi ritocchi col governo Monti.

Perché dunque non votare? Le motivazioni si trovano specularmente a quelle del sì. Far mancare il quorum, sarebbe l’ennesima occasione per rafforzare la posizione di Meloni, del suo governo e delle alleanze. Nessun complesso ragionamento, nessuna analisi approfondita, solo una mera questione di opportunità politica.

Disclaimer

Considero da sempre il non-voto una posizione di debolezza. Non si può pretendere di cambiare le cose senza metterci la faccia. E poi, entrare nel seggio elettorale, mi ha sempre procurato una certa emozione. Ho escluso quindi a priori l’opzione di non votare.

Chi mi conosce, poi, sa come la penso: se vuoi portare avanti un’idea, ed essere pronto a difenderla, devi venire accompagnato da dati, grafici e in generale numeri. No, nulla di estremamente complesso, ma un po’ di numeri per capire se il tuo ragionamento ha senso. Una base su cui poi, magari con altri numeri, costruire un dibattito. Va da sé che il populismo dilagante a destra e sinistra ha appiattito la qualità dei dibattiti e delle discussioni, preferendo, con l’euforia dei media, la soluzione più semplice di grida e versacci, buttandola in caciara. Quindi non mi aspetto che tali argomenti possano mai apparire sui media.

Quanto segue è il frutto di un lavoro di ricerca e analisi che ho fatto per prepararmi al voto. Non è un lavoro perfetto, ma spero possa essere utile a chi, come me, ha voglia di capire e di approfondire. Non e’ mia intenzione dare indicazioni di voto, quanto offrire delle basi di dati su argomenti usati da entrambe le parti in causa. Sarò felice di ricevere suggerimenti e/o correzioni. Se non vi piace, o non amate i dati, non leggete. Per una visione più completa ho deciso di includere nelle analisi altri paesi europei: Germania, Francia e Spagna.

L’abuso del tempo determinato

C’e’ uno spettro che si aggira per l’Italia, ed è il tempo determinato. Causa di ogni male, e figlio del Jobs Act il tempo determinato sarebbe il nemico numero uno del lavoro. Verrebbe da chiedersi se con tali affermazioni non si stia effettivamente credendo che l’unica forma di lavoro dignitosa sia il tempo indeterminato. O, ancora, che si possa parlare di diritto al lavoro solo in presenza di sua maestà il tempo indeterminato. Ragionando sul paradossale e, seguendo una folle idea della destra sovranista, verrebbe voglia di stampare il lavoro affinché tutti possano averne uno.

Eppure potremmo essere obiettivi e cercare la verità nei dati. Come e’ cambiata l’incidenza del tempo determinato in Italia? Come ha influito il Jobs Act? Quale è la situazione a livello europeo?

zoom: Grafico 1: Percentuale di contratti a tempo determinato sul totale dei contratti di lavoro

Le risposte a queste domande sono contenute nel grafico 1. I dati sono stati estratti da Eurostat e partono volutamente dal 2009, prima che entrasse in vigore il Jobs Act. E’ possibile notare, guardando all’ultimo dato disponibile del 2024, che il tempo determinato ha un’incidenza media del 12% circa sul totale dei contratti di lavoro nei paesi europei presi a confronto. Si, il Jobs Act ha modificato la curva, ma non ha cambiato drasticamente il trend che si conferma stabile nel lungo periodo ed in linea con gli altri paesi europei.

Se davvero ci fosse un abuso del tempo determinato, ci si aspetterebbe che l’Italia avesse un’incidenza di tale tipologia di contratto ben superiore alla media europea. Eppure non è così. La verità è che il tempo determinato è una forma di lavoro che esiste fisiologicamente in tutti i paesi europei. E, se tante volte vi e’ sorto il dubbio, non e’ nemmeno un problema di neo assunti, i dati italiani sono in linea con quelli dei paesi a confronto anche nella fascia di età 15-29 anni.

L’emergenza licenziamenti e disoccupazione

E’ un tema che viene tirato in ballo ogni volta che si parla di lavoro: i licenziamenti sono un’emergenza, e il Jobs Act ha reso tutto più semplice. Non sono riuscito a trovare dati ufficiali sui licenziamenti senza giusta causa (non esistono o se esistono sono nascosti molto bene!), ma possiamo analizzare i dati sui licenziamenti in generale.

zoom: Grafico 2: Licenziamenti in percentuale sul totale dei contratti di lavoro

In questo grafico Eurostat, che manca degli anni interessati dalla pandemia Covid, vengono mostrate le transizioni da occupato a disoccupato. Ancora una volta, nulla di anomalo, il trend è stabile ed in linea con gli altri paesi europei. Anzi, a dire la verità, l’Italia ha un’andamento apparentemente migliore rispetto agli altri paesi. Per questo motivo sono andato a cercare i dati sulla disoccupazione.

zoom: Grafico 3: Disoccupati in percentuale sul totale forza lavoro (15-74 anni)

Ora il panorama e’ più chiaro. La disoccupazione in Italia, non solo non ha subito particolari scossoni dall’introduzione del Jobs Act, ma ha un andamento in linea con gli altri paesi europei e conferma il trend in calo. Anche in questo caso, nessuna particolare anomalia nemmeno rispetto alla fascia di età 15-29 anni, dove si conferma il trend generale.

Il colpevole degli incidenti sul lavoro

Il numero di incidenti gravi e mortali resta un tema di grande attualità e preoccupazione, richiedendo attenzione costante e interventi mirati per garantire la sicurezza dei lavoratori. Nonostante gli sforzi compiuti negli ultimi anni, il numero di incidenti sul lavoro continua a essere un problema significativo in molti settori. La sicurezza sul lavoro è una priorità fondamentale per proteggere la vita e la salute dei lavoratori, e richiede un impegno costante da parte di tutti gli attori coinvolti, dalle istituzioni alle aziende, fino ai lavoratori stessi.

Ma come si è evoluta la situazione in Italia? E’ migliorata o peggiorata? E, soprattutto, come si colloca l’Italia rispetto agli altri paesi europei?

zoom: Grafico 4: Morti sul lavoro - incidenza

I dati sono stati estratti da Eurostat mostrano un andamento tutto sommato stabile. La curva italiana è in linea con quella degli altri paesi europei, e non mostra particolari anomalie pur nella gravità del tema.

Andiamo quindi a vedere se analizzando i dati sugli incidenti non mortali la situazione cambia.

zoom: Grafico 4: Incidenti non mortali sul lavoro - numeri assoluti

Anche in questo caso i dati sono stati estratti da Eurostat. Purtroppo non ci sono dati normalizzati ma solo numeri assoluti, tuttavia gli andamenti dei vari paesi mostrano uno scenario stabile. Nel quadro generale si fa fatica a voler trovare un colpevole.

Compiti a casa

Ora che abbiamo visto i dati, e la loro evoluzione nel corso delle varie normative sul lavoro, non mi resta che assegnarvi i compiti a casa.

  1. Chiunque vi inviti a votare per il sì o per il no, chiedetegli di portare i dati a supporto della sua tesi.
  2. La questione politica, l’ideologia, l’adesione ad un partito o ad un sindacato non sono motivo per spegnere il cervello. Non abbiate paura di mettere in discussione le vostre idee e le vostre convinzioni.
  3. Il mondo del lavoro è in continua evoluzione, e non possiamo permetterci di rimanere indietro. La tecnologia, la globalizzazione e i cambiamenti demografici stanno trasformando il modo in cui lavoriamo. Nessuna norma e’ perfetta e occorre essere pronti a cambiare, anche radicalmente se neccessario.
  4. Il lavoro non si crea per decreto, ma creando le condizioni giuste. La produttività e la competitività sono le chiavi per il successo economico e sociale.
  5. Non confondere la precarietà con i salari bassi. Oggi il vero problema sono i salari bassi dovuti alla scarsa produttività.
  6. Le aziende investono dove trovano sicurezza e stabilità perché il loro scopo è quello di fare profitto. Più profitto, più investimenti, più lavoro.
  7. Il diritto al lavoro non è il diritto al lavoro a tempo indeterminato, altrimenti si potrebbe risolvere il problema assumendo tutti col posto fisso statale.
  8. Vai a votare e fai sentire la tua voce. Non lasciare che altri decidano per te. Libertà e’ partecipazione.