Che mestiere fai?

Forse qualcuno ricorderà la famosa scena del treno del film Totò a colori nella quale Antonio Scannagatti (Totò) si trova a condividere lo scompartimento di un vagone letto con l’onorevole Cosimo Trombetta. Lo Scannagatti, uomo di mondo con tre anni di militare a Cuneo sulle spalle, incerto ed incredulo sulla personalità del suo compagno di viaggio ad un certo punto domanda: “Oh! E che mestiere fai?”. L’onorevole, con le incredibili peripezie che condiscono un eterno film comico, tenta di spiegare al povero Scannagatti che, prima di essere eletto, era un ostetrico.

Inutile dire che, dallo scambio di battute e fraintendimenti che ne sussegue, viene prodotta una delle situazioni comiche più esilaranti della storia del cinema italiano. Eppure, nella estrema semplicità e ingenuità di Totò la domanda rimane lecita. Il mestiere è ciò che ci identifica, oltre ad essere uno degli argomenti di conversazione, che sia con il vicino di ombrellone al mare o con un distinto signore all’interno di un vagone letto.

Dubbi esistenziali

Scendiamo per un attimo dal treno di Totò e ci fermiamo alla prima stazione di una tipica località turistica italiana.

Non se capita anche a voi, ma quando mi trovo a visitare come turista un tipico borgo, sono sempre attratto da quelle bancarelle o piccole attività artigianali che espongono manufatti in legno o ceramica. C’è una tappa fissa che non può mancare: l’angolo dedicato ai mestieri. Piccoli quadretti o semplici targhe che ritraggono uomini intenti nel proprio lavoro: il fabbro, il falegname, il ciabattino, ma anche più antichi e particolari come il droghiere o lo speziale.

Così, mi soffermo sempre per qualche istante nel vano tentativo di rendere soddisfatti i miei dubbi.

Vedi, questi sono i mestieri veri! Se ti ritrovi fra queste targhe vuol dire che sai fare qualcosa di universalmente riconosciuto! Dovrei saper far qualcosa che meriti un posto in questa bacheca, non si può mai sapere nella vita!

o ancora:

Figurati se sarà mai presente l’informatico! Del resto come si fa a spiegare universalmente cosa fa un informatico? Impossibile.

Mentre per soddisfare il primo dubbio (e anche una tramandata passione) ho deciso di iniziare a praticare l’arte culinaria, per il secondo ho cercato di assopirlo ragionando sulla differenza fra mestieri e professioni.

L’onorevole Cosimo Trombetta, nel film, spiega a Totò che lui non fa un mestiere, ma esercita una professione, ad indicare la differenza che un tempo distingueva i due termini: il primo dedicato ai lavori manuali e il secondo riservato a quelli d’intelletto. Tornando indietro nel tempo, possiamo far risalire tale distinzione all’epoca medioevale con le arti liberali del trivio e del quadrivio e quelle meccaniche. Si può facilmente immaginare, perciò, che l’informatico appartenga al mondo delle professioni, tanto da non meritare una targa.

Oggi, a dispetto dei miei precedenti ragionamenti, questa distinzione non è più così marcata, complice la diffusione capillare della tecnologia e delle competenze richieste in tutti i mestieri. Pensiamo al falegname e alle macchine a controllo numerico, al meccanico e alla diagnostica della centralina di un’auto.

Percezione esterna

Rimane, tuttavia, la difficoltà intrinseca di spiegare cosa faccia un informatico e tutto peggiora in base all’età della persona a cui occorre dare il chiarimento. Sotto il cappello dell’informatico c’è una vasta rosa di specializzazioni e la risposta perentoria che include esclusivamente la categoria generale non contribuisce ad interpretarne le mansioni. Si rischia di essere chiamati da amici per riparare una stampante o, peggio, per ricevere consigli su quale tablet acquistare.

Un informatico, terminata la sua fase larvale smanettona, non ha più nessun interesse su come possa funzionare una stampante o su quale modello di tablet preferire. Questo accade perché egli si astrae da problemi di basso livello per concentrare la sua intera attività su quelli più complessi ad alto valore intellettuale. E’ una questione di sopravvivenza e di ottimizzazione delle risorse.

Un giorno a Perugia

Come per ogni attività intellettuale, anche per noi informatici giunge quel periodo dove si ha necessità di staccare o perfino oziare, e rigenerarsi. Quest’anno fra un tuffo in piscina e una ricca colazione mi sono ritrovato a visitare Perugia. Dal parcheggio dei partigiani si può raggiungere il centro attraverso una serie di comode scale mobili che portano direttamente al livello più alto di piazza Italia. Una parte di queste scale attraversa i suggestivi sotterranei della Rocca Paolina, sempre odiata dai perugini, venne abbattuta nel 1860 con l’annessione al Regno d’Italia.

Nelle stanze degli intatti sotterranei, Perugia ospita mostre, installazioni artistiche, eventi, ma anche piccole attività commerciali. Ed è proprio in una di queste botteghe che mi soffermo per l’ennesima volta nel reparto mestieri. Mi accorgo subito che qualcosa è cambiato, ora trovo anche diverse professioni moderne! Chissà se…

Beh se avete osservato con attenzione la copertina fotografica di questo articolo saprete già che ho portato a casa il mio mestiere! Una piccola, ma grande gioia che mi rende più sicuro nell’affermare che faccio parte di quella cerchia universalmente riconosciuta! Un mestiere in cui si usa la mente, è vero, ma anche le mani per modellare un prodotto tanto effimero quanto delicato che oggi è diventato indispensabile per la vita quotidiana di tutti. Una professione che dona intensi grattacapi e incolmabili soddisfazioni, che ti fa illudere di essere padrone del mondo, ma che ti plasma per affrontare metodicamente qualsiasi problematica.

Con in mano un martello e il chiodo per appendere la mia targa, posso finalmente dirlo in maniera fiera: sono un informatico!