Non ci sono dubbi, il virus COVID-19 sta mettendo alla prova la nostra vita quotidiana e la nostra società. Se da un lato i professionisti del campo medico sono attenti nel dispensare suggerimenti, avvertimenti e tutto ciò che possa in qualche modo mitigare il contagio e proteggere i nostri cari, proprio nell’applicare questi ultimi siamo costretti a modificare i nostri comportamenti quotidiani. Ma siamo sicuri di essere pronti o preparati in ogni settore?
Scuola
Uno dei provvedimenti applicati per limitare il contagio è stata la chiusura delle scuole. Mentre i ragazzi “esultano”, dirigenti scolastici ed insegnanti sono preoccupati per il raggiungimento degli obiettivi del programma ministeriale.
C’è chi decide di fare lezione al parco, mantenendo la distanza di sicurezza, chi usa il registro elettronico per diffondere i compiti e le lezioni. Qualcuno azzarda a tenere lezioni online, con tutte le difficoltà sia lato studenti che lato insegnanti. E, allora, ci si chiede se veramente la scuola italiana è pronta in un’emergenza simile ad una prassi che nel 2020 dovrebbe essere considerata non “futuristica” ma “contemporanea”. Mi riferisco, ovviamente, alla capacità di insegnanti e studenti di partecipare ad una lezione da remoto.
Certo, molti studenti non hanno il PC, alcuni insegnanti non hanno una formazione informatica sufficiente, eppure ci sono piattaforme MOOC (Massive Open Online Courses) che funzionano benissimo anche attraverso un App sullo smartphone. Personalmente ho seguito diversi corsi post-universitari attraverso video, esercitazioni e esame online. Purtroppo nel caso della scuola italiana c’è frammentazione nella gestione della strumentazione. Lo stesso registro elettronico viene gestito in maniera indipendente da ogni ISC, affidandosi ad aziende tipicamente del territorio. Se non c’è organicità nella gestione della piattaforma non può esserci un programma di formazione per gli insegnanti e i requisiti minimi per l’accesso da fornire agli studenti.
Per questo Google si è offerta di offrire allo Stato italiano la piattaforma G-Suite for Education, proprio per colmare quel gap che serve per poter essere preparati ad un insegnamento a distanza. Da ultimo, non ultimo per importanza, occorre affrontare seriamente il grosso ostacolo del Digital Divide, altra forma di frammentazione delle strutture nazionali, che impedisce l’accesso alla rete ai cittadini.
Lavoro
Le restrizioni previste dal governo non possono non influenzare anche il mondo del lavoro. Prendere un mezzo pubblico, condividere una scrivania, partecipare ad una riunione, sono alcuni esempi di comportamenti potenzialmente a rischio se paragonati alle precauzioni messe in atto per la scuola e per le attività di aggregazione in generale.
E l’Italia, nel 2020, scopre che esiste lo smart working, ma solamente come termine, come speranza remota di una panacea di ogni male. La realtà dei fatti è che non basta un decreto ministeriale per sburocratizzare la procedura e nemmeno le buone intenzioni di un’azienda nel venire incontro ai dipendenti. Se ancora oggi molti fanno confusione fra telelavoro e smart working, pensando siano sinonimi, come possiamo pretendere di poter far fronte ad un’emergenza applicando un metodo che è molto più profondo di permettere al lavoratore di lavorare da remoto? Si tratta di una riorganizzazione aziendale a tutti gli effetti, specialmente nel tessuto industriale italiano dove le PMI hanno una visione del lavoro* *“ad ore” e non “ad obiettivi”. Se gli effetti economici, imputabili alla diffusione del COVID-19 sono paragonabili a quelli della crisi del 2009, dall’altra dobbiamo stare attenti a non innescarne degli altri di contorno.
Società
Compriamo mascherine anche se non siamo infetti, svuotiamo supermercati e, una volta dichiarata zona rossa un’intera regione, prendiamo il primo treno per tornare giù, rischiando di contagiare una zona sicuramente meno preparata all’emergenza per quanto riguarda personale e strutture sanitarie.
Prima di affermare che la società non è pronta, mi sento di dire che la società non è formata, non è presente la giusta informazione. I media sono solamente correi di questa situazione, in una nazione con il 47% di analfabeti funzionali, il diffondersi di un’epidemia può generare effetti devastanti sul tessuto sociale. Fortunatamente ci sono esempi di intelligenza e bontà di cuore come, ad esempio, studenti che si offrono volontari per la spesa a persone anziane dello stesso condominio. Studenti che, pur studiando in una zona rossa, decidono di rimanerci per tutelare il proprio territorio e i propri cari. Ci sono esempi concreti anche da parte di aziende, come Esselunga che offre la consegna a casa agli over 65 o ristoranti che intelligentemente si sono temporaneamente convertiti in take-away. Donazioni, come quella di Xiaomi, azienda cinese, lasciano a bocca aperta per il messaggio che le accompagna.
Nella cultura popolare cinese c’è un termine bellissimo 天下 (tiānxià) che mi è venuto in mente proprio guardando questo messaggio di solidarietà. Il termine, che tradotto letteralmente indica sotto un unico cielo, ci pone davanti ad un orizzonte umano molto più vasto e molto più profondo di ogni ristrettezza mentale dovuta a campanilismo o sovranismo. Il cielo (天 tiān), creatore dell’uomo e delle *diecimila creature *(tutti gli esseri viventi secondo Daodejing), è ciò che accomuna tutti noi per un unico scopo, è ciò che ci permette di non sentirsi soli nell’universo.
Nel Piccolo Principe c’è questo passaggio:
“Dove sono gli uomini? Si è un po’ soli nel deserto.” Disse il Piccolo Principe. “Si è soli anche con gli uomini” Rispose il serpente.
Ecco che appare chiaramente la necessità di un nuovo umanesimo che sappia trascendere dalla globalizzazione, indispensabile in un mondo moderno, e che sappia abbracciare la società illuminandola nel non farsi trovare impreparata ad eventi straordinari. Una spinta umana che sappia cogliere le grandi sfide ambientali e geopolitiche, trans-nazionale e eterogenea sulle popolazioni.