Questo che segue è un esercizio creativo, assegnato durante una lezione del corso di scrittura. Non ha alcuna pretesa, se non quella di essere memorizzato qui per il futuro. L’esercizio prevede di rubare l’incipit di un romanzo qualsiasi e di continuare a scrivere un breve racconto. Ho scelto Violeta di Isabel Allende. L’immagine di copertina è stata generata attraverso l’uso di intelligenza artificiale.


Sono venuta al mondo un venerdì di tempesta del 1920, l’anno del flagello.

Mia madre mi volle nonostante tutto. Mio padre, dal suo canto, dovette accettare la convivenza e i desideri di una donna risoluta e guerriera. La mia nascita, tuttavia, non fu un evento lieto.

Quella sera il vento e la pioggia sembravano voler sradicare la nostra casa e, con essa, anche le nostre vite. Mia madre volle intorno a sé la sua cara sorella Anna. Sebbene fosse troppo giovane per poterla realmente aiutare, la sua sola ombra sarebbe bastata per rassicurarla durante il travaglio. Al suo fianco Guglielmo, suo marito e mio padre naturale, mascherato da uomo coraggioso, tendeva di tanto in tanto a mostrare preoccupazione mentre stringeva viscidamente la mano di mia madre. In fondo al giaciglio vi era la levatrice, donna robusta, avrebbe fatto partorire una giumenta ad occhi bendati e con un solo braccio.

La stanza era mantenuta flebilmente in vita da un misero focherello che a malapena serviva per diffondere una fioca luce in quella fredda giornata.

«Vedrai cara, andrà tutto bene!» - mio padre era poco credibile, la levatrice aveva già avvisato entrambi della posizione anomala del feto e, ritenendoli credenti, li aveva invitati a pregare. Purtroppo la fede aveva abbandonato da tempo quella casa. Erano stati per l’intera vita cristiani praticanti nella chiesa di St. James, ma si erano allontanati subito dopo la morte di mio fratello. Un altro parto, un’altra storia. Alberto morì appena venne alla luce. L’abbraccio di sua madre, attraverso il cordone ombelicale, gli fu mortale. Uscì cianotico e la Scura Signora, quel giorno, decise di prenderlo con sé e di concedere a mia madre una seconda occasione.

Abbandonarono la chiesa e, con essa, la fede. Diedero la colpa alla levatrice che, di lì a qualche giorno, venne trovata impiccata nella camera della sua abitazione. La morte, perciò, conosceva già quella casa e, facendo ululare il vento, lo ricordava a tutti i presenti. Tennero nascosta la tragedia alla nuova levatrice, fatta venire appositamente da fuori città, perché in paese tutti sapevano.

«Sant’Anna, guidami tu!» - Gridò la levatrice, nel tentativo di invocare la benedizione della santa protettrice delle partorienti su mia madre. Quella esclamazione fece rabbrividire la Anna presente. Mia zia, sentendo il suo nome associato a quello di una santa, divenne subito una maschera di sudore misto di disgusto, paura e imbarazzo. Anche per lei, come per il resto della famiglia, Dio era stato violento ed ingiusto tanto da meritare un profondo odio per tutto ciò che i cristiani ritenevano sacro. «Pape Satàn, pape Satàn aleppe!» sussurrò a bassa voce. Anna aveva venduto la sua anima al diavolo qualche anno prima, durante un momento di sconforto, e ora lo stava invocando.

La tempesta improvvisamente smise di tormentare le vecchie mura dell’abitazione, mentre uno strano silenzio si diffuse nella stanza. La levatrice si portò le mani agli occhi ritraendosi dal giaciglio. Dal ventre di mia madre uscì un bagliore accecante che costrinse anche gli altri a riparare la vista. Il pavimento si squassò in un colpo assordante e i corpi vennero sollevati da un vortice infernale. Il gorgo inghiottì le povere anime all’interno delle sue fiamme. Mia madre partorì nell’istante in cui emise un lancinante latrato di dolore. Venni portata fuori da un essere celeste alato.

Un angelo. Nelle sembianze di un giovane fanciullo. Fece appena in tempo a pronunciare «Sia lodato…». Il mio corpo venne avvolto dalle stesse fiamme del vortice e, quello che sembrava un aiuto, si trasformò presto in una rovente palla di fuoco. Caddi a terra. Le mie narici si riempirono dell’odore acre del legno bruciato. Attorno a me un groviglio di persone in lacrime si segnavano con il simbolo della fede.

Trascorsi la mia infanzia in Germania, presso una famiglia cattolica. Cambiarono il mio nome in Maria. Maria Anna Trummelschlager. Il destino fu veramente beffardo.

Lo stesso nome della madonna, madre del figlio di Dio, simbolo di purezza e di benevolenza. Lo stesso nome di mia zia, adoratrice del diavolo e sacerdotessa del sabba.

Qualche anno dopo, al compimento del mio diciannovesimo compleanno, l’Europa intera venne avvolta da una fitta nebbia di odio. Le stesse fiamme che mi donarono la vita, avrebbero inghiottito sessanta milioni di anime, nella più grande guerra che il mondo possa ricordare. Un uomo solo al comando generò l’inferno in terra. L’anticristo.

Miti e leggende che si tramandano dall’alba dei secoli descrivono il bene e il male e il sottile confine che li divide. Qualcuno un giorno mi raccontò che Dio e il Diavolo scelgono accuratamente le donne genitrici di angeli e demoni. I primi salvatori del mondo e i secondi distruttori. Dicono che si divertano addirittura a sceglierle con il nome di Maria.

Come la Madonna.

Come la madre di Hitler.

Come me.