Forse sarà capitato anche a te di aver avuto bisogno di concentrazione per affrontare un particolare task ed essere stato continuamente distratto da e-mail, telefonate o riunioni.

In un mondo in cui la connettività è fondamentale per il naturale svolgersi della vita lavorativa, spesso si fa fatica a comprendere o, peggio, a misurare la produttività dei knowledge worker, ovvero di quei lavoratori che usano la conoscenza per operare su processi immateriali.

In questo articolo cercherò di approfondire il tema.

Trovare la concentrazione

La ricerca e la necessità di concentrazione non sono identiche per tutti, ci sono manager che usano attivamente Twitter più volte al giorno e riescono a far crescere aziende in maniera eccellente e, allo stesso tempo, ci sono sviluppatori che hanno bisogno di isolarsi all’interno di una baita nel bosco senza distrazioni per poter trovare il focus necessario.

È vero, esistono centinaia di studi sull’influenza dei social media e di Internet in generale sull’attenzione e la capacità di concentrarsi, ma, preso atto che esistono anche casi che vanno ben oltre le rare eccezioni, vale la pena di approfondire il tema focalizzandosi sul mondo del lavoro.

Misurare l’immisurabile

Immaginiamo, per scopi puramente statistici, di voler misurare la quantità di attività svolte durante la giornata collaterali alla propria mansione per cui si è stati assunti. Dovremo incaricare qualcuno a misurare il tempo passato a rispondere alle e-mail, a gestire le telefonate o a partecipare alle riunioni. Sicuramente dopo qualche mese avremo un quadro molto completo di come è suddiviso il tempo trascorso a lavoro. Ma se, ad esempio, venisse fuori che le attività collaterali occupassero il 20% del tempo totale, potremmo calcolare automaticamente la produttività? Rispondere ad una e-mail è produttivo? Partecipare ad una riunione diminuisce forse la produttività del team?

Anche se accettiamo che la distrazione ha un costo e la concentrazione è un valore dobbiamo ammettere che siamo in un campo difficilmente misurabile. No, non è colpa intrinseca di distrazione e concentrazione, ma della tipologia di lavoro: poiché un knowledge worker svolge un lavoro più complesso è naturalmente più difficile misurarne l’efficienza.

La cultura della connessione

Un professore della Harvard Business School, ricercatore del settore, ha provato a convincere un’azienda di consulenza di Boston a riservare ai propri dipendenti un giorno della settimana completamente disconnessi. È inutile dire che ai piani alti dell’azienda questa proposta è stata duramente criticata. Inoltre, l’azienda in questione, aveva una cultura della connessione tale da pretendere che ogni impiegato rispondesse immediatamente alle e-mail e alle telefonate. Capirete quanto possa essere destabilizzante, per tutto il personale dirigente e non, l’azzerare comunicazioni interne ed esterne un giorno alla settimana. Ad ogni modo, malgrado le resistenze dei manager, l’esperimento è stato avviato ed i risultati analizzati dal punto di vista del cliente finale: impiegati più calmi, con una migliore comunicazione e maggiore soddisfazione.

Perché, allora, molte aziende seguono la cultura della connessione pur sapendo che influenza negativamente la produttività e i risultati finali?

È facile!

In un contesto aziendale senza un chiaro feedback dell’impatto di certe abitudini sul risultato finale, si tenderà a portare avanti comportamenti che sembrano più facili sul momento. [1]

Se sei abituato a chiedere informazioni ed ottenere una risposta immediatamente, appena sorge il problema, questo farà sembrare la tua vita più facile. Almeno sul momento. Del resto se così non fosse dovresti pianificare il lavoro, essere più organizzato e avere il focus su qualcos’altro mentre attendi la risposta.

Pensiamo ad esempio alle riunioni. Convocare frequentemente meeting per i progetti porterà ad un accumulo di interruzioni tale da rendere impossibile una concentrazione sui task della giornata. Perché allora insistiamo? Perché è più facile. Per molte persone queste riunioni rappresentano una personale forma di organizzazione: invece di impiegare risorse nel gestire il proprio tempo si preferisce che siano i meeting a scandire il ritmo del prendere decisioni.

Considerate inoltre la comune pratica dell’inoltrare e-mail ad uno o più colleghi con l’aggiunta dell’interrogativo “cosa ne pensi?”. Queste e-mail danno all’autore una piacevole sensazione di produttività, poiché, magari, hanno svuotato la propria casella di posta dalle richieste. Tale sensazione è solamente momentanea e del tutto apparente.

L’età industriale

Dunque si tende ad assumere abitudini che sembrano rendere la vita più facile, ma che portano a gestire male il tempo di un’attività lavorativa di per sé non misurabile. Torniamo ora alla produttività. Se pensate, per un attimo, ad un lavoro manuale, risulterà molto semplice capire quanto un operaio di linea sia stato produttivo durante la giornata. Probabilmente basterà contare quanti “pezzi” ha fatto uscire dalla catena di produzione. Un knowledge worker, al contrario, non ha punti di riferimento, non ha ingranaggi da contare e si ritrova in un’epoca storica che non ha nulla a che fare con l’età industriale.

In assenza di chiari indicatori di cosa significhi realmente produttività, molti knowledge worker cercano, perciò, quanto più di avvicinarsi agli indicatori dell’industria manifatturiera e fare cose in maniera che siano “visibili”. [1]

Ecco perché si tende a rispondere alle e-mail entro un’ora o ad organizzare riunioni ripetutamente, esse sono attività che ti fanno sentire “occupato”. Il grave errore è proprio questo: considerare l’essere occupato come indicatore di produttività da cui deriva automaticamente il sentirsi appagato di aver fatto bene il proprio lavoro.

Occupato = produttivo?

Nel 2013 il CEO di Yahoo decise di mettere al bando i remote worker e costringere i dipendenti a tornare in ufficio. Il motivo? Dopo aver controllato i log dei server l’azienda ha verificato che i remote worker si connettevano poche volte al servizio di posta elettronica. Il CEO concluse, così, che “se non sei visibilmente occupato, assumo che non sei produttivo”.

Visto ed analizzato in maniera obiettiva questo concetto è anacronistico. I knowledge worker non lavorano in una catena di assemblaggio, il cosiddetto “lavoro di concetto” è molto più affine ad un lavoro ad obiettivi (o Agile) che ad una linea di produzione. Ecco perché, in maniera più generale, la concentrazione è un bene prezioso e le distrazioni un enorme buco nero che inghiotte inesorabilmente il tempo a disposizione.

Bibliografia

[1] Newport, C. (2016). Deep Work. Piatkus.